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L'intrinseco significato della parola "filosofo": un'analisi etimologica e simbolica

Aggiornamento: 31 ott

La parola "filosofo" evoca immediatamente l'immagine di un amante della sapienza, un individuo dedito alla ricerca della verità e alla comprensione profonda del mondo. Tuttavia, oltre questa accezione comune, esiste uno strato più intrinseco che collega il filosofo alla luce e all'illuminazione spirituale. Questo articolo esplora l'etimologia e i riferimenti mitologici della parola "filosofo", mettendo in luce come essa rappresenti non solo amore per il sapere  ma anche colui che è come la luce.



1. Analisi etimologica

La parola filosofo deriva dal greco antico philosophos (φιλόσοφος), composta da:

·        Philo- (φίλο-) che significa  amante  o  amico .

·        -sophos  (σοφός) che significa  saggio  o  sapiente .

Etimologicamente, quindi,  filosofo  si traduce in  amante della sapienza .

 

Sebbene sophos  (σοφός) e  phos (φῶς) siano parole distinte, (la prima significa  saggio, la seconda luce), esiste una profonda connessione simbolica tra sapienza e luce come, ad esempio, si evince dal famoso Mito della Caverna di Platone, metafora tratta dal Libro VII de La Repubblica. In questo mito Platone utilizza la luce come metafora della verità e della conoscenza. Così il filosofo è rappresentato come colui che esce dall'oscurità della caverna (ignoranza) per contemplare la luce del sole (verità).


La luce qui assume rilevanza di conoscenza e illuminazione che il filosofo cerca e condivide con gli altri.


Luce, che deriva dal latino"lux, lucis" (dalla radice indoeuropea leuk-), ha due corrispondenti termini in greco, uno dei quali reso con l'aggettivo λευκός, «brillante, bianco» mentre l'altro, dotato di un particolare significato, è φῶς (phaos/phōs), che originariamente non indica soltanto la luce come mezzo fisico per vedere, ma anche la luce che emana la verità raggiunta tramite la conoscenza; la sua radice corrisponde a quella del verbo phainō, che significa «mostrare», «rendere manifesto»


Sempre dai miti si apprende che la luce è portata all'uomo dal Phosphoros (Φωσφόρος), il Portatore di Luce e l'associazione più comune è con la stella Venere, la prima stella visibile al tramonto e l'ultima all'alba.


Nella Teogonia di Esiodo (versi 378 – 382), Phosphorus è il figlio di Eos (Aurora) e fratello di altre stelle. Egli annuncia l'arrivo del giorno conducendo le prime luci dell'alba.


Anche nel Cratilo di Platone viene menzionato Phosphoros quale simbolo di luce e conoscenza.


Un altro celebre portatore di luce, più vicino ai nostri tempi e al nostro sapere, è Lucifero, la cui etimologia deriva da Lux (luce) e Ferre (portare). La connotazione negativa del suo nome deriva soltanto da una concezione tarda e, forse, voluta, di cui l'origine è stata dimenticata. Infatti, sia per i greci che per i latini, Lucifero altro non era che colui che portava conoscenza e illuminazione nelle menti degli uomini.





Il filosofo e il culto apollineo

 

Apollo, dio greco della luce, della profezia, della musica e della guarigione, è strettamente legato alla figura del filosofo poiché nel culto apollineo, filosofo era lo iatromante (ἰατρομάντης), colui che, nel nome di Apollo, come indica il termine, diveniva medico-veggente o profeta guaritore.


Due tra i filosofi più noti dell'epoca, Empedocle e Pitagora, venivano spesso descritti, appunto, come iatromanti incamerando le funzioni di filosofi, medici e messaggeri della divinità.


Empedocle, agrigentino di nascita, appartiene all'epoca dei filosofi presocratici (V sec. a.C.). In Sicilia fondò la più antica scuola di medicina occidentale. Egli non fu conosciuto solo per le sue doti magiche. Nel Vite dei filosofi,( VIII, 54-75) di Diogene Laerzio egli è menzionato con le qualità di filosofo, medico e profeta, capace di compiere miracoli e guarigioni.


Era, possiamo dirlo, uno iatromante del dio Apollo, spesso riconosciuto dai suoi concittadini come

lo stesso dio, tanti erano i miracoli che, pare, riusciva a compiere.


Scoppiata una pestilenza fra gli abitanti di Selinunte per il fetore derivante dal vicino fiume, sì che essi stessi perivano e le donne soffrivano nel partorire, Empedocle pensò allora di portare in quel luogo a proprie spese (le acque di) altri due fiumi di quelli vicini: con questa mistione le acque divennero dolci. Così cessò la pestilenza e mentre i Selinuntini banchettavano presso il fiume, apparve Empedocle; essi balzarono, gli si prostrarono e lo pregarono come un dio” (Diogene Laerzio, VIII. 60, 70, 69. )


Egli introdusse l'idea della reincarnazione, si oppose alla pratica del sacrificio animale e dell'uccisione a scopo alimentare, si autodefiniva immortale tra i mortali, un daimon (essere divino) esiliato sulla terra.


Al pari di Empedocle, Pitagora possedeva caratteristiche divine (pare avesse una coscia d'oro, simbolo fortemente sciamanico), professava il vegetarianesimo, guariva e profetava. Era definito incarnazione del dio Apollo e fu filosofo e iatromante. Predicava ed insegnava l'armonia e la vita ascetica necessaria per ricongiungersi con il divino.


Giamblico, che scrive molto sulla sua vita e le sue opere, dice che amava molto i suoi amici. Il concetto pitagorico di amicizia è ben lungi da quello che intendiamo oggi. Philo, il termine che è stato tradotto con amore o amicizia sottintende l'armonia universale con ogni manifestazione del divino, dunque col creato e con l'immanifesto; un profondo rispetto per ogni creatura considerata un altro se stesso.


In questo frammento di Senofane è racchiuso tutto il concetto di amicizia pitagorica:

(Pitagora incontra un uomo che stava picchiando un cagnolino) Fermati! –gli dice- non vedi che in quel cane c’è l’anima di una persona amica! Ne ho riconosciuto la voce(...)”


Lo riconobbe Cicerone, secondo cui Pitagora ed Empedocle ammonirono che tutti gli esseri viventi hanno uguali diritti e che pene inespiabili incombono su quanti recano offesa ad un essere vivente.


Tale uguale diritto di esistere Pitagora poneva a fondamento del suo concetto dell’amicizia quando affermava che “l’amicizia è uguaglianza” e nell’amicizia universale, come afferma Giamblico, riassumeva tutti i suoi insegnamenti specifici di carattere teorico e pratico.

 

Possiamo notare come entrambi i personaggi incarnassero caratteristiche che vanno molto oltre la definizione classica di filosofo, assumendo somiglianze con gli asceti e gli sciamani di quel tempo. L'amore per il sapere, nei loro insegnamenti e nelle loro azioni, riassume l'idea di portatori di luce, luce dell'intelletto e conoscenza dei mondi.





Il filosofo come Christos gnostico

 

Nello gnosticismo, movimento religioso e filosofico che si diffuse nei primi secoli d.C., il termine  Christos (Χριστός) rappresenta l'archetipo dell'anima illuminata, uno stato di consapevolezza divina raggiungibile attraverso la gnosi (conoscenza esoterica).

 

“Una definizione piuttosto parziale del movimento, basata sull'etimologia della parola, può essere: «dottrina della salvezza tramite la conoscenza», termine che va inteso come la coscienza illuminata. Mentre il cristianesimo che prese poi piede, la cui dogmatica è stata definita dai concili ecumenici, sostiene che l'anima raggiunge la salvezza dalla dannazione eterna per grazia di Dio principalmente mediante la fede, per lo gnosticismo invece la salvezza dell'anima dipende da una forma di conoscenza superiore dell'uomo e del mondo e di illuminazione (gnosi) portate da Cristo. Gli gnostici dunque erano una classe di mistici illuminati o iniziati, il cui status presente e futuro era sostanzialmente diverso da quello di coloro che non avevano raggiunto questa realizzazione spirituale, mistica. “ (wikipedia)

L'elemento salvifico della gnosi diviene il Christos, inteso come guida, maestro interiore che conduce all'illuminazione.


Dall'etimo possiamo ricavare un significato molto più profondo del termine che ci riconduce, ancora una volta, agli ietromanti greci che incarnavano la volontà divina, apollinea.


Christos è “unto”, inteso come consacrato alla divinità. Consacrare era il termine con cui veniva “reso sacro” un individuo (cum- sacer). Se andiamo ad individuare il significato etimologico di sacro, troviamo una derivazione dall'indoeuropeo in sak o sag col significato di “attaccare”, “aderire”, “avvincere”.


Il consacrato, dunque, è colui che viene ritualmente avvinto alla divinità attraverso l'unzione; l'iniziato ai misteri della conoscenza.


Il filosofo, nel contesto gnostico, assume dunque la valenza di iniziato, al pari dello iatromante. Nel contesto religioso cristiano possiamo rilevare tale principio nei vangeli di Filippo e Tommaso. Un passo di quest'ultimo dice, infatti che “ Colui che conosce il tutto, ma è privo (della conoscenza) di se stesso, è privo del tutto. (Ver.67)


Se assumiamo i principi di base, peraltro molto simili, della iatromanzia e dello gnosticismo (che potrebbe ben riguardare le scuole filosofiche dell'antica Grecia), possiamo riunire nel concetto di filosofo in quanto portatore di luce e conoscenza, anche la figura dello sciamano che fungeva da intermediario tra il mondo di mezzo (quello della creazione) e il mondo divino (celeste, superiore) e infero (inferiore).


Lo sciamano possedeva la conoscenza delle arti meditative ed ascetiche, era guaritore, insegnante delle cose degli spiriti, giudice, profeta.


Conclusione

 

Attraverso questa analisi, emerge una nuova visione del filosofo che diviene colui che è come la luce. Non si tratta solo di un amante del sapere, ma di un individuo che incarna la luce della conoscenza, illuminando l'oscurità dell'ignoranza e guidando l'umanità verso l'illuminazione spirituale.


E' significativo, infatti, che dei due termini indicanti la luce λευκός e φῶς, sia per identificare colui che porta la luce che colui che porta la conoscenza sia utilizzato il secondo termine, phos, proprio per distinguere il tipo di luce di cui viene insignito il filosofo.


Il filosofo diviene così il portatore di luce, il Phosphoros, il Lucifero che, attraverso la conoscenza raggiunge uno stato di unione con il divino, simile al Christos gnostico. La ricerca della Verità si concretizza nella luce della trasformazione dell'individuo che, visitando i mondi interiori eleva il suo spirito verso quel Regno, come sanciva il Cristo evangelico che “non è di questo mondo” ma appartiene a Dio.


Grazie


Articolo Redatto da: Monica Benedetti


 

Bibliografia


·        Esiodo, Teogonia, a cura di M.L. West, Oxford University Press, 1966.


·        Platone, La Repubblica, traduzione di Giovanni Reale, Bompiani, Milano, 2003.


·        Platone, Cratilo, traduzione di Franco Trabattoni, Rusconi, Milano, 1995.


·        Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, a cura di Giovanni Reale, Bompiani, Milano, 2005.


·        Giamblico, Vita di Pitagora, a cura di A. Iacobini, Adelphi, Milano, 1988.


·        Hans Jonas, La religione gnostica, SE, Milano, 1995.


·        Luigi Moraldi, Vangeli gnostici, Adelphi, Milano, 1984.


·        Aristotele, Metafisica, traduzione di Giovanni Reale, Bompiani, Milano, 2000.


·        Porfirio, Vita di Pitagora, a cura di Giuseppe Girgenti, Bompiani, Milano, 200


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