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Il Pozzo di Santa Cristina: Storia di un Luogo Enigmatico

La prima citazione dei luoghi in cui è ubicato il Pozzo Sacro di Santa Cristina, ci viene dal Dizionario geografico, storico, statistico e commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna dell’Angius-Casalis (1851).


Sotto la voce Pauli Latino, o volgarmente Paulelatte, alla fine della descrizione del villaggio e del territorio, dei suoi abitanti e dell’economia, si legge: “In distanza di due grosse miglia dal paese nella linea del libeccio, alla destra della valle Bubulica sopra il margine è la chiesa di S. Cristina, che vuolsi essere stata pertinenza di monaci camaldolesi di Bonarcado. Presso la medesima vedasi una costruzione singolare in forma di imbuto dal cui buco si scende sopra una scala conica, formata a pietre ben lavorate come lo è pure il muro che cinge intorno la scala e figura un imbuto rovesciato. Nessuno di quanti vi sono discesi ha finora saputo spiegate a che servisse siffatta costruzione”.


Il pioniere del sito è considerato il presbitero archeologo Giovanni Spano che, nel 1857, compì i primi rilievi del luogo arricchendo la scoperta con diversi disegni.


Lo Spano è molto preciso e racconta che “ L'opera è ciclopica, costrutta con gran massi di pietra nera vulcanica tirata dalla cava in vicinanza e senza cemento, al par dei Nuraghi. Si entra per un sotterraneo la di cui volta giace a perpendicolo fatta a scaglioni e disposti uno sopra l'altro in modo sporgente a guisa di merli. Quando si è dentro, dal fondo alla bocca, è alto quattro metri e più. E' di figura rotonda. Nella base è largo e poggiano i primi ordini dei giganteschi massi, indi vi è sovrapposto il secondo ordine in modo sporgente, sopra questo il terzo della stessa conformità e così via dicendo fino al decomo strato o cinta, sempre diminuendo che sembra di formare un cono tronco, e la bocca di un pozzo ordinario: di modo che l'uomo collocato giù non potrebbe in alcun modo uscirne, perché i massi gli vengono tutti collocati sulla testa a scaglia ed a perpendicolo.”


Egli, all'epoca, non comprese la funzione del luogo e arrivò a presumere si trattasse di un carcere sotterraneo.


Infatti continua nella sua descrizione affermando che “L'uso […] per cui sarà servito è facilissimo indovinarlo se badiamo al modo che si è conservato presso i popoli etruschi e romani ancora, nel conformare le carceri.” (Giovanni Spano 1857,Raccolta dei monumenti antichi in ogni genere di tutta l’isola di Sardegna, «in Bullettino archeologico sardo numero cinque anno III, maggio 1857 diretto da Giovanni Spano»)


Bisogna attendere fino al 1967, anno in cui Enrico Atzeni, giovanissimo assistente del prof. Giovanni Lilliu, iniziò gli scavi veri e propri sia del pozzo che del villaggio nuragico, riuscendo a dare la definizione dell'area così come la conosciamo oggi.


La struttura del pozzo è costituita da un vestibolo, un recinto a forma ovoidale che conduce all'ingresso in cui una scala con 25 gradini si inoltra ad una profondità di 6 metri e conduce alla camera sotterranea ove insiste un pozzo circolare sotto una volta a tholos costituita da gironi di pietre basaltiche poste a sbalzo interno. L'intera costruzione, vista dall'alto, somiglia ad una grande serratura.


Pozzo Santa Cristina
(https://www.pozzosantacristina.com/pozzo-sacro/)

Nei pressi del pozzo sono stati portati alla luce diversi elementi costruttivi e ricondotti dagli archeologi a capanne utilizzate per la mostra e vendita di oggetti di culto nonché, riferendosi a fondamenta che rivelano un'ampia costruzione circolare, ad una capanna delle riunioni.


Pozzo Santa Cristina Area Archeologica
( https://www.coopsinis.it/it/895/Santa_Cristina.html)

A circa 200 mt in direzione ovest insiste sull'area un insediamento nuragico, di cui è ancora visibile il troncone di una torre nuragica ed alcuni resti di costruzioni (di cui una ancora coperta) oblunghe, di dubbio utilizzo storico. Tra la zona del pozzo e i resti suddetti c'è un villaggio costituito da 36 case e una Chiesetta rupestre. Quest'ultimo complesso costruttivo è stato realizzato attorno al XIII sec. ed a tutt'oggi è utilizzato come luogo di culto.


Di questo recente agglomerato troviamo notizie  nel Condaghe di S. Maria di Bonarcado, del XII-XIII secolo, nel quale si fa riferimento ad una donazione privata di terreni ubicati nell’antico villaggio di Boele, l'antico nome dell'attuale Paulilatino. Il documento fu redatto durante il priorato di Gregorio di Bonarcado (tra il Giudicato di Pietro I e Ugo I) e attesterebbe l’esistenza della chiesa agli inizi del XIII secolo. La chiesa apparteneva alla diocesi di Santa Giusta e rientrava nella curatoria del Guilcier. Le case costruite nei pressi della chiesetta servivano ai fedeli per sostare nei giorni in cui, due volte all'anno, si svolgevano novene intitolate alla Santa di cui il luogo porta il nome.


Una leggenda narra che Cristina, una povera e bella pastorella, fu perseguitata e maltrattata dal padre perché non voleva cedere, alle lusinghe di un signorotto del paese. Un giorno, mentre fuggiva rincorsa dal padre, pregò con fervore il cielo di salvarla; il suolo le si aprì sotto i piedi ed essa scomparve, ma in quel posto rimase una buca di forma tronco conica, perché la gonnella della fanciulla, discendendo, s’era man mano allargata, dando origine al pozzo.


I fedeli proclamarono la fanciulla, così miracolosamente salvata, santa e, per impedire che il suolo circostante alla buca franasse, lo rivestì con quelle pietre che ci sono ancora e per avere comunicazione col fondo del pozzo aprì un corridoio laterale. Infine a poca distanza dal pozzo, fu eretta una chiesetta in onore di Santa Cristina.


Naturalmente è solo una leggenda poiché, in realtà, l'archeologia ufficiale fa risalire la costruzione del pozzo e degli annessi, ad almeno il 1000 a.C. epoca in cui il cristianesimo era ancora lungi dalla sua nascita. Probabilmente c'è stata, ora come allora, la volontà di tentare di spiegare l'esistenza di un artefatto così particolare e perfetto nella struttura e nella posa dei materiali e la gonna della giovane fanciulla è riconducibile alla forma che somiglia ad un imbuto rovesciato, del pozzo stesso.

 


Qual era la funzione del pozzo sacro di Santa Cristina e degli altri manufatti simili ubicati in Sardegna?

 

 

Gli archeologi collimano sulla spiegazione della funzione di tali opere quali luoghi di culto delle acque. Funzione che pare motivata dai reperti trovati all'interno dei pozzi stessi. A Santa Cristina sono state rinvenute quattro statuette di bronzo fenicie, due fibule, alcune figure fittili antropomorfe. Nell’area annessa al pozzo sono state rinvenute numerose terrecotte figurate, vaghi di collana e balsamari in pasta vitrea.


Tale culto accomuna l'essere umano fin dai suoi primordi così anche in terra sarda la Grande Madre dell'epoca neolitica diventa la Demetra – Kore di epoche più recenti, avvento della commistione fenicio punica con le genti dell'isola.


Del resto lo stesso nome identificante la dea rimanda al greco Demeter tradotto in terra madre e simboleggiata con spighe di grano od orzo a sottolineare la sua presenza nei rituali di fecondità vegetativa.


“Il suo culto venne introdotto a Cartagine, secondo Diodoro, dopo il sacco di Siracusa e la distruzione del santuario di Demetra (e Kore), nel 396 a.C., da parte di Imilcone. Secondo la leggenda, la dea, adirata per le stragi operate in Sicilia dalle armate puniche, ed in particolare per la distruzione del suo tempio a Siracusa, inviò un’epidemia che ne decimò l’esercito. Successivamente i Cartaginesi, per placare l’ira divina, decisero di assimilare completamente Demetra nel loro pantheon divino costruendo, sia a Cartagine che nelle sue colonie (di conseguenza anche in Sardegna), templi a lei dedicati e organizzandone il culto e i rituali, officiati con sacerdoti greci residenti in loco”

(Demetra: ragioni e luoghi di culto in Sardegna di Simona Ledda).


Il culto di Demetra – Kore era legato non solo ai cicli vegetativi ma anche al culto della discesa e resurrezione dagli inferi (coma avviene per i germogli che riappaiono dalla terra in primavera) e i pozzi sacri presenti nell'isola testimoniano il valore ambivalente dei rituali. La discesa negli inferi attraverso i gradini dei pozzi e le abluzioni nell'elemento acquatico sorgivo suggeriscono una richiesta di guarigione oltre che fecondità; di quella vita che, come in natura, anche nell'uomo sottende a cicli di rigenerazione.


Le genti di Sardegna del periodo pre cartaginese probabilmente avevano un destinatario autoctono che riecheggia anche oggi negli antichi rituali, proposti in forma carnevalesca, con cui si propiziava la pioggia per un buon raccolto.


Ad Aidomaggiore, in provincia di Oristano, ad esempio, nei periodi di siccità dei giovanetti costruivano un feticcio costituito da  due canne incrociate a formare una sorta di barella che veniva, al centro, ornata con rametti di pervinca.


Al canto di “Maimone Maimone, abba cheret su laore, abba cheret su siccau, Maimone laudau(Maimone Maimone, il seminato chiede acqua, la terra secca chiede acqua, Maimone lodato!)i ragazzi formavano una processione nel villaggio e la gente usciva dalle case e lanciava dell'acqua verso il feticcio rispondendo “Isperamus chi Maimone bos intendat!(Speriamo che Maimone vi ascolti!) Alla fine della processione il feticcio veniva gettato nel fiume e doveva essere sommerso.


Perché venissero usati rami di pervinca non ci è dato sapere ma esiste una curiosa associazione tra il nome in sardo della pianta che viene chiamata proinca, con il verbo piovere in sardo che è proere.


Altri rituali vengono ripetuti ogni anno a carnevale ma, curiosamente, riproposti anche d'estate come avveniva in passato, ad esempio, nei Misteri Eleusini che venivano celebrati due volte all'anno.


Pur subendo delle modifiche da luogo a luogo, i rituali della tradizione sarda connettono tutti al propiziarsi una buona annata chiedendo a su Maimone la pioggia.



Ma chi è questa figura misteriosa che, pare, essere l'unica invocata nell'era nuragica e, ancora oggi, riferentesi al culto dell'acqua?

 

Il linguista Salvatore Dedola sostiene che “In sardo su béntu maimòni indica un turbine di vento (precipuamente invernale, freddo), ed ha con Maimòne (Dio delle Acque) soltanto l’identità fonematica.(Béntu) maimòni deriva dall’accadico mammû, mummu ‘frost, ice, gelo, ghiaccio’.”


Per la studiosa Dolores Turchi il termine Maimone o Mamuthone, deriverebbe da Mainoles (pazzo scatenato), ossia la maniera con la quale in lingua greca veniva chiamato Dionisio, dio dell’estasi e dell’ebrezza.


In greco Maimoon indicava colui che desiderava essere posseduto dal dio. Sempre dalla stessa radice deriva Maimasso o Maimatto (il violento, il tempestoso), termini usati da Plutarco per identificare Dionisio.


Il linguista Max Leopold Wagner traduce Maimone con spauracchio dando al termine origini semitiche e spiegando che – originariamente – indicava una scimmia e – successivamente – avrebbe definito una bestia immaginaria.


Lo studioso Mario Ligia afferma che Maimone  possa corrispondere ad una divinità della pioggia di origine protosarda, reinterpretata poi dai Fenici.


La radice Maim’o, infatti, in fenicio significava acqua mentre in ebraico indicava un demone, un mostro ed anche la brama di denaro.


Quello che pare certo, finora, è che nessuno conosce il reale significato della divinità portatrice di pioggia che, probabilmente era, nell'epoca prenuragica, l'unica invocata allo scopo. Del resto pare che negli scavi dei pozzi sacri, non siano stati trovati feticci riproducenti divinità ma le famose statuette di bronzo, chiamate bronzetti e le altrettanto famose navette.





Anche a Santa Cristina vengono, a tutt'oggi, praticati rituali ma, ovviamente, appartengono alla cultura cristiano cattolica che ne ha preso possesso inserendosi nei culti originari.


Due volte all'anno, il villaggio cristiano nei pressi del pozzo, si anima. Le ante delle casupole di pietra, che sono 36 e il cui nome originario è muristenes o cumbessias, si aprono per nove giorni nel mese di aprile – maggio e nel mese di settembre – ottobre.


Riguardo a queste occasioni festive, nel 1834 lo scrittore Vittorio Angius diceva: «Appartiene pure a questo priorato (di Bonarcado nda) la chiesa rurale di Santa Cristina, sita in territorio di Paùli-Latìno, distante da questo paese un quarto, mentre da Bonarcado è distante due ore. Vi sono vicine alcune casipole per li novenanti, che vi concorrono al primo del maggio. La festa principale cade addì 10 del medesimo con molta frequenza, e devota processione sino al pozzo denominato dalla santa, il quale è d’una singolare forma e struttura. Si fa festa addì 24 luglio, in cui si commemora la morte gloriosa della medesima. L’effige vi si trasporta sulla barella dai confratelli seguiti da un numeroso popolo che canta il rosario per tutta la via lunga circa 4 miglia.”


Attualmente le date per la cerimonia sono  la seconda domenica di maggio, giorno di Santa Cristina e la quarta domenica di ottobre, in ricordo di San Raffaele Arcangelo. Riguardo a questa seconda data c'è da precisare che l'antico nome di Paulilatino era Boele che tradotto è Raffaele.


E' molto probabile che la festa di ottobre ricalchi il ricordo del vecchio nome del paese e, dunque, del santo cui fu inizialmente dedicato e, se teniamo conto dell'associazione con l'arcangelo cristiano della guarigione, questo ricordo assume un significato molto più antico.


“La processione che trasporta la Santa, dalla parrocchia di San Teodoro in Paulilatino alla chiesa campestre di Santa Cristina, è il primo atto del cerimoniale ecclesiastico che precede le novene per la venerazione della Vergine nel luogo sacro. Seguono un’altra processione con fiaccolata che avviene il vespro della festa principale, “sa festa manna” e chiude le celebrazioni un’altra processione che riporta la Santa in Parrocchia il giorno dopo la festa. Molti sono i fedeli che partecipano a questo evento e giungono dai villaggi circostanti. Alcuni di essi, invece, sono quelli che si trattengono per l’intero periodo delle novene e alloggiano nei muristenes che oggi sono diventati di proprietà, mentre in principio venivano assegnati di volta in volta dal Priore che gestiva la comunità. Il percorso processionale inizia a Paulilatino e parte dalla Parrocchia di San Pantaleo che si trova nell’omonima piazza. La statua della santa viene posta su di un carro trainato da un giogo di buoi e percorre le strade principali del paese: via Roma, attraversa piazza Indipendenza e prosegue in via Nazionale per poi immettersi nella strada provinciale di Carlo Felice fino a raggiungere la strada vicinale Gioga Mameli. Da questo momento in poi la statua viene trasportata fino alla chiesetta a braccia attraversando la zona interessata dal tempio a pozzo. Durante il percorso la statua si sofferma in alcuni punti chiave: il palazzo Atzori, 5 la fontana di San Pantaleo, appena fuori dal centro abitato, Funtana Majore in prossimità del villaggio raggiungendo la chiesetta dove viene messa in adorazione ai fedeli. Da sottolineare che la ex Carlo felice segue, nel suo percorso, il corso del fiume che si trova proprio a ridosso della strada come a segnalare l’importanza che è stata data alla cerimonia e che vuole, in un certo qual modo, enfatizzare il culto dell’acqua fin da principio e lungo tutto il percorso, inoltre la processione transitava davanti al pozzo sacro prima di soffermarsi davanti alla fontana Majore. Questa processione sembra che abbia avuto termine nei primi anni del ‘900.

Un’altra processione che si sviluppa durante le novene e che continua ad esistere ancora oggi è quella che riguarda la fiaccolata dei vespri, la notte che precede “sa festa Manna”. La santa, in questa occasione viene trasportata a braccia in processione per benedire il villaggio. Il percorso viene seguito in preghiera lungo il confine interno dell’insediamento, raggiunge funtana majore dove vengono recitati i vespri, viene benedetta la fonte e si fa rientro al villaggio.


(Tratto da: Il novenario di Santa Cristina nel comune di Paulilatino (2016). Documento redatto dal prof. Giampaolo Salice per l'Università di Cagliari)

 

Questa processione conserva dei caratteri molto interessanti. In primo luogo le soste della vergine alle fonti perpetuano l'antico ricordo del culto dell'acqua e la doppia frequenza annuale, nei mesi di maggio e ottobre, ricalcano un altro genere di processioni che avveniva nella lontana Grecia arcaica: quelle dei Misteri di Eleusi.


I Grandi Misteri si svolgevano ad ottobre ed erano preceduti dai Piccoli Misteri che si ripetevano in primavera (aprile – maggio). L'assonanza con la festa manna (grande) di Santa Cristina ad ogni mese di ottobre è significativa e possiamo supporre che a maggio, se è considerata grande la festa di ottobre, fosse un diverso rituale, più contenuto, come avveniva ad Eleusi.



Cosa si ricordava nella città della Magna Grecia?

 

I Misteri eleusini derivavano dalla mitica storia di Persefone, rapita da Ade e da esso condotta nel suo regno infero.


La madre di Persefone, Demetra, era partita alla ricerca della figlia sostando ad Eleusi nella reggia di Cefeo che la accolse senza riconoscerla. La dea, per ringraziare dell'ospitalità, voleva ringraziare donando l'immortalità al figlio di Cefeo e tentando, una notte, di passarlo sul fuoco. L'operazione fallì, poiché la dea fu sorpresa dalla madre del piccolo che cominciò a gridare vedendo le fiamme che avvolgevano il figlio. La dea, ormai scoperta, fu costretta a rivelarsi ed insegnò ai regnanti le cerimonie adatte ad adorarla ogni anno. Nel frattempo la figlia Persefone era ormai diventata la sposa di Ade e ottenuto il favore di rimanere metà dell'anno sulla superficie e l'altra metà negli inferi.


Le feste eleusine duravano circa dieci giorni, similmente alla novena perpetuata nella cristianità a Santa Cristina. L'inizio della festa avveniva con una processione in cui venivano condotti, da Eleusi ad Atene, gli oggetti sacri (hierà).Giunta alle correnti d'acqua salata dette Reitoi, la processione faceva una prima stazio'ne, ed i misti ed epopti vi eseguiyano nuove abluzioni purificatorie. Rimessasi indi in ordine, moveasi e, giunta al ponte del Cefiso, faceva una seconda stazione, . durante la quale i misti esilaravansi con vicendevoli scherzi. Quindi procedeva solenne per la Via Sacra fino ad Eleusi”


(Dott. S. Bernocco – I Misteri eleusini – Torino, 1880).


Salta subito all'occhio, da questa descrizione, la modalità di fermate alle fonti, le stesse condotte nella moderna processione cristiana. Il primo giorno di luna piena veniva dato l'avvio ai rituali con la proclamazione del sacerdote (ierofante) accompagnato dal daduco (portatore di fiaccola).


Con questo primo atto venivano invitati ai misteri solo coloro che avevano le “mani pure” e che avrebbero dovuto mantenere il segreto. Il secondo giorno di luna piena era previsto un bagno purificatore e il sacrificio di un maialino.


Nei giorni seguenti si protraevano sacrifici e purificazioni fino al quinto giorno in cui il carro con i paramenti sacri, i sacerdoti coronati di mirto e la folla inneggiante, tornava ad Eleusi dove avevano inizio i Misteri che non potevano essere rivelati.


Purtroppo ci sono pervenute delle notizie frammentarie su quello che avveniva durante il rituale segreto. Sappiamo che esistevano due gradi di iniziazione: i misti e gli epopti. I primi erano i nuovi sacerdoti e i secondi, quelli consacrati l'anno precedente.


Una frase di Clemente Alessandrino svela qualche aspetto del rito per i misti, sulla base della formula riservata ad essi: «Ho digiunato, ho bevuto il ciceone, ho estratto dal canestro e ho messo nel paniere; da qui ho ripreso e deposto nel canestro» (Protrettico, 21,2)


Quanto agli epopti che si presentavano per il grado supremo dell’iniziazione, un altro scrittore cristiano, Ippolito (Confutazione di tutte le eresie, V 8, 39-40), ha rivelato la sostanza del rito centrale: alla luce delle fiaccole, in silenzio, lo ierofante mostrava ai partecipanti «quello che è il grande e perfettissimo mistero dell’Aldilà, oggetto di contemplazione, la spiga mietuta»; egli, inoltre, gridava e urlava, recitando ad alta voce: «La dea augusta ha generato un santo bambino; Brimò (la forte) ha fatto nascere Brimos (il forte)».


Ma un altro epiteto di Brimos era Jacco e l'assonanza con Bacco è imprescindibile.


Il linguista e glottologo Massimo Pittau ci ricorda che una “divinità molto famosa, […] di origine anatolica e assai probabilmente lidia, risulta entrato nella Sardegna antica e addirittura allunga le sue propaggini nella Sardegna attuale, Bacco, il dio del vino. Oltre che sicuri ritrovamenti archeologici relativi a questo dio, molto notevole è in Sardegna la venerazione di uno strano santo cristiano Bakis (latinizzato in Bachisius), del quale non si trova alcuna notizia nel Martyrologium Romanum. Esso dovrebbe corrispondere a uno dei tre santi che dalla Bibliotheca Sanctorum sono ricordati col nome di Bacco e che sarà arrivato in Sardegna durante la dominazione bizantina. Senonché, per ragioni linguistiche e per ragioni etnografiche si intravede abbastanza chiaramente che la figura e il nome di questo santo cristiano si sono inseriti e fusi sincretisticamente con quelli del precedente dio pagano del vino.”



Un probabile parallelismo, quello tra Bacco – Dioniso e Maimone, la divinità nuragica sarda invocata per chiamare l'acqua, è derivabile da uno degli innumerevoli epiteti del dio: mainomenos, cioè il furibondo,  colui che è posseduto dall' enthousiasmòs (condizione di esaltazione o di eccitazione fisica e psichica di chi affermava o mostrava la presenza di un dio nella sua persona tale da renderlo folle.


La follia per il mondo antico non doveva essere considerata inevitabilmente un male ma al contrario era comunemente ritenuta «un dono degli dei» concesso ai pochi che raggiungevano così uno stato di delirio  creativo.


Questo parallelismo è molto importante in quanto su Maimone, come dicevamo, è la divinità sarda direttamente collegata al culto dell'acqua e il suo culto è diffuso ancora oggi in tutta l'isola.


E' assai probabile che anticamente a Santa Cristina, come negli altri luoghi in cui esistono i pozzi sacri, venisse perpetuato un rito molto simile a quello descritto nei Misteri eleusini in cui Bacco – Dioniso – Maimone diveniva il germoglio della nuova vita, il simbolo della rinascita della vegetazione in primavera e della morte in autunno.


Grazie



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Bibliografia

 

  • Angius-Casalis. (1851). Dizionario geografico, storico, statistico e commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna.

  • Spano, G. (1857). Raccolta dei monumenti antichi in ogni genere di tutta l’isola di Sardegna. Bullettino archeologico sardo, numero cinque, anno III.

  • Atzeni, E. (1967). Scavi archeologici nel pozzo e villaggio nuragico di Santa Cristina.

  • Ledda, S. (Data non specificata). Demetra: ragioni e luoghi di culto in Sardegna.

  • Bernocco, S. (1880). I Misteri Eleusini. Torino.

  • Salice, G. (2016). Il novenario di Santa Cristina nel comune di Paulilatino. Università di Cagliari.

  • Pittau, M. (2013). Il dominio sui mari dei Popoli Tirreni (Sardi-Nuragici Pelasgi Etruschi). Ipazia Books.

 

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